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La parola all'avvocato

Dalla protezione umanitaria alla protezione speciale. Evoluzioni normative e giurisprudenziali

Dalla protezione umanitaria alla protezione speciale. Evoluzioni normative e giurisprudenziali

Negli ultimi anni la protezione umanitaria è stata abolita e sostituita con l’istituto della protezione speciale. Insieme con l’avvocato Marco Galdieri abbiamo ripercorso questa evoluzione, cercando di capire quali sono le principali implicazioni normative e giurisprudenziali

 

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo insieme con Marco Galdieri, avvocato di Casa dei Diritti Sociali, per una nuova puntata della rubrica “La parola all’avvocato” e questa settimana abbiamo pensato di affrontare il tema della cosiddetta protezione speciale, un istituto che riguarda i cittadini migranti che ha avuto un’evoluzione normativa e giurisprudiziale importante. Prima veniva catalogato sotto la voce protezione umanitaria, poi con il governo in cui Salvini era ministro degli Interni è stata fatta una battaglia per abolirla. Con il governo Draghi è stata recuperata con questo istituto della protezione speciale.

Marco, raccontaci di che cosa stiamo parlando nel concreto e spiegaci anche l’evoluzione che c’è stata in questi ultimi 4-5 anni dall’istituto della protezione umanitaria all’istituto della protezione speciale.

 

Marco Galdieri (MG): La storia della protezione umanitaria e le sue successive evoluzioni nel corso almeno degli ultimi quattro anni ha avuto notevoli battute di accelerazione e di arresto, andando su due piani, da una parte quello normativo e dall’altra quello giurisprudenziale che spesso si sono sovrapposti, perché sappiamo che quando si arriva in Cassazione spesso si parla di fatti che sono accaduti negli anni antecedenti perché, essendo il terzo grado di giudizio, ci si arriva dopo un po’. Nel diritto dell’immigrazione relativo alle domande di asilo politiche, invece, quando parliamo di Cassazione, dopo le modifiche apportate dal l’ex ministro degli Interni Minniti, si parla di secondo grado perché è stato abolito il grado d’appello.

Senza complicare ulteriormente l’analisi proviamo a ricostruire in sintesi lo specifico tema della protezione speciale. Partiamo dal dire cosa era la protezione umanitaria prima del 2018 e che cos’è oggi con la sua evoluzione in protezione speciale. La protezione umanitaria era prevista dall’articolo 5 comma 6 del Testo unico sull’immigrazione e veniva declinata come una protezione minore rispetto alla protezione internazionale. Questo significava che c’erano due possibilità di ottenere la protezione umanitaria. La prima era fare una domanda diretta in Questura, anche se per quanto ne ho esperienza io, ma anche altri colleghi a Roma, in tantissimi casi la Questura neanche rispondeva. La seconda ipotesi era quella di presentare una domanda di protezione internazionale e all’esito dell’esame della domanda, laddove non veniva accettata come asilo politico o protezione sussidiaria, le commissioni si riservavano di rimandare il caso al questore per la concessione della protezione umanitaria.

Cerchiamo di capire quale fosse il nucleo di questo tipo di protezione. Da un lato, essendo una clausola abbastanza aperta non aveva regole ben definite, ma sono state disegnate da una sentenza della Cassazione e dalla giurisprudenza maggioritaria. La pronuncia più importante degli ultimi anni era quella e numero 4455 del 2018 con cui è stata inserita la vulnerabilità come

elemento di comparazione fondamentale, ossia la situazione dello straniero in Italia viene rapportata ad un eventuale rientro nel proprio paese di origine. Questo è un tema che è stato abbastanza cavalcato negli anni successivi. Secondo alcuni, e fondamentalmente il Tribunale di Roma sicuramente la pensava in questa maniera, ma non sono il Tribunale di Roma, la protezione umanitaria altro non era che un’applicazione pratica dell’articolo 10 comma 3 della Costituzione e quindi andava in qualche modo a coprire il vulnus dell’asilo costituzionale.

L’articolo 10 comma 3 della Costituzione ci dice chiaramente che è ammesso avere una sorta di asilo “costituzionale”, detto impropriamente, per quelle persone che nel loro paese di origine non troverebbero le stesse tutele democratiche che vengono garantite in italia. Ovviamente, la lettura andava in qualche modo ristretta, perché se no i cittadini di tantissimi stati dover ci sono delle dittature e tutti gli stati che non hanno le medesime garanzie costituzionali nostre avrebbero avuto diritto di accesso nel nostro paese. Questo chiaramente non era proprio nei piani del legislatore né tantomeno dei governanti. Immaginiamo che tutta la Cina avrebbe accesso liberamente in Italia. Per cui non si è data una lettura così estensiva alla norma, ma una lettura costituzionalmente orientata era ritenuta quella fornita dal comma 6 articolo 5 del Testo unico sull’immigrazione.

Poi, è arrivato il decreto legge 113 del 2018 sotto la vigenza del ministro degli Interni Salvini, durante il primo governo Conte Lega – 5 Stelle, con cui la protezione umanitaria viene abolita e sostituita con la dicitura dei permessi di soggiorno per casi speciali. Viene ridisegnata e ritagliata nei suoi limiti in maniera abbastanza importante, tant’è che numerosi giuristi a quel punto dicono che, visto che è stata di fatto abolita la protezione umanitaria come estensione dell’articolo 10 comma 3 della Costituzione, occorresse rendere direttamente applicabile l’articolo 10 comma 3 della Costituzione. Noi avvocati abbiamo chiesto nei ricorsi l’applicazione dell’asilo costituzionale, le corti rispondevano che non ce n’era bisogno perché era già trasfusa nella protezione umanitaria, ma venendo meno la protezione umanitaria, a quel punto, è riuscito fuori il diritto costituzionale direttamente applicabile, anche se con una serie di problemi applicativi, dalla durata di questo permesso a come dovesse essere rilasciata la dicitura. Insomma, si sarebbero create una serie di situazioni che poi fortunatamente non c’è stato bisogno di andare a ricercare.

Devo dire che l’unico elemento di nota per questa abolizione, per questa vigenza così piena e forte del decreto Salvini, è stato il tema dell’applicabilità della norma rispetto alle domande e, quindi, sulla retroattività della disciplina. Tante persone provenienti da stati terzi avevano fatto la domanda di protezione internazionale, e quindi erano sottoposte anche alla possibilità di avere un provvedimento di protezione umanitaria precedentemente all’entrata in vigore del decreto. Per cui, la discussione in quei due anni di vigenza si è svolta sulla possibilità di applicare il decreto anche sulle domande in corso oppure di non poterla applicare da parte delle corti. Una sentenza a sezioni unite ha poi deciso che il decreto non era retroattivo e quindi chi aveva presentato domanda antecedentemente all’entrata in vigore del decreto aveva comunque diritto ad avere la vecchia protezione umanitaria sotto la dicitura casi speciali, andando a ricondurre questi due istituti.

Dopodiché sono stati sollevati dei profili di incostituzionalità che non sono mai arrivati a bersaglio, perché nel frattempo la disciplina è stata ulteriormente modificata con il decreto legge 130 del 2020 e successiva conversione in legge. A questo punto è stato tirato fuori un altro istituto che era stato introdotto dal decreto Salvini ed è stato ampliato nella protezione speciale. Pertanto ora possiamo dire che di fatto la protezione speciale ha preso il posto della vecchia protezione umanitaria. Tecnicamente non è proprio così, però a grosse a linee sì e anche oltre.

Con l’entrata in vigore di questo decreto legge e la novella dell’articolo 19 comma 1.1 del Testo unico sull’immigrazione è stata estesa l’impossibilità di respingere quegli stranieri che in qualche modo dimostrino di avere, tra le altre cose, posto in essere un’integrazione all’interno del nostro paese abbastanza importante dal punto di vista relazionale, di vita affettiva e quant’altro. Per cui, siamo di nuovo in campo umanitario, siamo di nuovo alla vecchia sentenza 4455 del 2018 di cui abbiamo parlato precedentemente. Non sono principi che vengono campati in aria, ma hanno un faro nell’articolo 8 CEDU e nella costruzione giurisprudenziale che andava avanti da anni e che continua ad andare avanti, anche con un’altra sentenza a sezione unite del 2021. Si basa sulla comparazione tra il livello di integrazione raggiunto dallo straniero nel nostro paese e ciò che comporterebbe un eventuale rimpatrio nel paese di origine.

Facciamo un esempio, tanto per capirci. Ci sono stranieri che seppure regolarmente sono in Italia da 5-6-8-10 anni che in qualche modo lavorano in nero o che piuttosto mandano i soldi a casa ai propri familiari che non hanno possibilità economiche maggiori, ma che comunque sia hanno stabilito ormai una vita di relazione abbastanza stabile. Hanno una casa e via dicendo, pur con tutti i limiti di una posizione irregolare. In questi casi, un respingimento e un rimpatrio nel paese di origine, laddove non avrebbero le stesse possibilità che ormai hanno gia raggiunto e conquistato nel nostro paese, sarebbe una violazione rispetto alla vita privata o di relazione. Un discorso che è stato affrontato da numerose sentenze della Corte di Cassazione. Ci sono ancora diversi contrasti anche se più o meno viene ormai riconosciuto come uno spartiacque l’attività lavorativa, che viene considerata come elemento cardine dell’integrazione anche se non l’unico, anche perché si andrebbe altrimenti a scavalcare quelli che sono i flussi di lavoro che vengono poi indetti periodicamente per garantire l’ingresso. Non ci si può quindi basare sull’inserimento lavorativo come unico indice, seppure questo rimane uno fra i più importanti. Si deve andare a vedere anche ciò che si è costruito qua, comparandolo a ciò che si andrebbe a perdere laddove ci fosse un rientro, anche in termini di garanzia di diritti civili e democratici. Quindi, una valutazione non soltanto sotto un profilo economico.

Potremmo dire che i passaggi da protezione umanitaria ai casi speciali e alla protezione speciale hanno comportato per gli operatori del diritto una serie di difficoltà, ma l’aspetto della vulnerabilità che era stato già sancito nel 2018 e che portava a comparare le condizioni dello straniero nel nostro paese in relazione a ciò che aveva lasciato e ciò che si era costruito, è rimasto un tratto comune che ha poi guidato i legislatori, da una parte, a trasporre questi principi giurisprudenziali all’interno dell’articolo 19 comma 1.1 e, dall’altra parte, a guidare gli approdi giurisprudenziali più innovativi e più recenti.

C’è da aggiungere come ultimo elemento che, nonostante parliamo di un decreto legge del 2020, soltanto a settembre del 2021 le Questure hanno cominciato ad accettare direttamente le domande di protezione speciale. Tra l’altro già si mostrano un po’ in affanno con la situazione ucraina, per cui c’è un sovraffollamento di domande. Precedentemente non si comprendeva come dovesse essere richiesta la protezione speciale. Da un lato, era rimasta l’idea del fare una domanda di protezione internazionale con una serie di garanzie come i colloqui, per poi arrivare alla fine a stabilire se il richiedente avesse il diritto all’asilo politico o alla protezione sussidiaria o, come ultima istanza alla protezione speciale. Questo mentre una buona parte dei giuristi riteneva che fosse possibile richiedere direttamente alle Questure la protezione speciale, senza dover passare per la domanda di asilo politico. Questo per un principio di economicità temporale, nel senso che non fosse necessario aspettare tutta la trafila e, allo stesso tempo, per non andare ad ingolfare ulteriormente un sistema che lo è già abbastanza. Sulla base della documentazione che è stata fornita a settembre 2021 – delle circolari – le Questure si sono attrezzate e quindi ora la domanda di protezione speciale può essere presentata direttamente a loro. Viene esaminata dalla

commissione territoriale e poi viene dato un riscontro positivo o negativo. Quando si presenta una domanda di protezione speciale è sempre bene allegare tutto ciò che riguarda l’integrazione raggiunta e quindi, come abbiamo già detto, eventuali permessi di soggiorno vecchi scaduti, piuttosto che legami familiari che si sono nel frattempo consolidati all’interno dello stato, piuttosto che rimesse di denaro che sono state fatte ai familiari nel paese di origine. Insomma, tutto ciò che va in qualche modo a denotare da una parte la vulnerabilità dello straniero e dall’altra parte la comparazione tra ciò che si è conquistato nel nostro stato e ciò che invece si perderebbe laddove ci fosse un rientro forzoso nel paese di origine.

Questo quindi a grandi linee è l’evoluzione che tra l’altro non è del tutto conclusa perché stiamo assistendo ad una serie di modifiche che vanno di biennio in biennio e perché il tema dell’immigrazione è sempre molto sollecitato anche per ragioni politiche, quindi non ci stupiamo se ci sono dei cambi anche repentini da un governo all’altro. Però, al momento potremmo dire che il legislatore si è abbastanza allineato su quelli che erano gli approdi della giurisprudenza negli ultimi anni.

 

AS: Grazie Marco. Mi sembra importante appunto aver fatto un piccolo focus sulla protezione speciale anche perché rispetto a tutta la questione dell’immigrazione, come sappiamo, il tema vero è quello di riuscire a dimostrare da una parte di essere nelle condizioni di avere diritto ad avere l’asilo politico e dall’altra parte di essere dentro il decreto flussi che ha sempre delle dimensioni ristrette rispetto al numero di persone che arrivano in Italia o che ci vorrebbero venire. Il decreto flussi regola l’accesso di lavoratori migranti, stagionali. Per cui c’è questo “pancione” dell’immigrazione che sta tra il diritto all’asilo e il decreto flussi che è molto ampio in termini numerici perché non è che tutti sono in grado di dimostrare di avere le condizioni per ottenere l’asilo politico. Non è proprio una strada semplice e per tutti, quindi queste forme che si sono create – dalla protezione straordinaria a quella umanitaria prima e poi alla protezione speciale – sono quelle che finiscono per coprire il grosso dei casi delle persone che arrivano in Italia dai paesi terzi.

 

MG: Sì, anche perché poi vengono sviscerate una serie di situazioni che non sono propriamente quelle che ci si immaginano con l’asilo politico. Quindi, situazioni per forza di guerra, situazioni estreme, che non per questo denotano situazioni meno gravi. Ad esempio, abbiamo i famosi migranti per motivi climatici. I detrattori di questo tipo di protezione ritengono che siano inventati o quasi, quando invece sappiamo che i cambiamenti climatici comportano inondazioni o siccità rendendo le terre non più coltivabili. Noi siamo stati uno tra i primi paesi in Europa conoscere che significa andare in altri paesi per motivi economici e quanto ci sta di drammatico dietro situazioni non per forza di guerra, ma di insostenibilità di vita. Per questo proprio il paradigma andrebbe in qualche modo ridisegnato. In questo caso la legge pone dei livelli diversi di tutela e protezione e comincia almeno ad affrontare queste situazioni che sono, comunque sia, molto gravi e su cui non possiamo voltarci o far finta che non esistano.

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