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La parola all'avvocato

Il licenziamento di un lavoratore a seguito del superamento del periodo di malattia

Alessandro Scassellati (AS): Siamo ad un nuovo appuntamento con l’avvocato Marco Galdieri e dell’associazione Casa dei Diritti Sociali e oggi vorremmo provare a ragionare su una fattispecie, come si dice, che riguarda il tema del licenziamento di un lavoratore a seguito del superamento del periodo di comporto. Ossia, proviamo a ragionare sulla legittimità e sulle forme di discriminazione che avvengono rispetto ai lavoratori che superano un periodo di malattia di 180 giorni. Stiamo parlando di lavoratori che hanno un contratto da lavoratori dipendenti e su come tutelarsi in questi casi. Veniamo da una pandemia che ha messo al centro dell’attenzione il tema della salute. Un tema importante, che è stato prioritario per tutti noi, che è stato al centro di tutti i nostri ragionamenti e delle nostre vite.

Marco Galdieri (MG): Provo a riassumere brevemente la problematica in questione. Parliamo come giustamente dicevi di un periodo di malattia, considerando che in questi momenti diamo sempre delle pillole che vanno prese come spunto. Poi, ovviamente, è bene rivolgersi sempre ad un professionista al fine di avere una maggior chiarezza riguardo al proprio singolo caso. Quando parliamo di lavoro subordinato, ossia di lavoro dipendente, bisogna far riferimento sempre anche al contratto collettivo nazionale di riferimento che diventa la strada maestra per
conoscere bene quali sono i diritti delle singole categorie di lavoratori. Questo, fermo restando che ci sono una serie di diritti o di disposizioni che sono più o meno omogenei per diverse o per la maggior parte delle categorie di lavoratori. Una di queste è quella della malattia di cui può usufruire un lavoratore. In questo caso parliamo del cosiddetto periodo di comporto che sono questi 180 giorni di cui dispone il lavoratore al fine di non poter essere licenziato. Il lavoratore che è malato va tutelato e come tale non è licenziabile legittimamente. Può capitare ed è capitato che venga licenziato per cui si ha una casistica che può essere definita come licenziamento durante il periodo di comporto. Un licenziamento per il superamento del periodo comporto che generalmente è di 180 giorni, ma può variare a seconda del contratto nazionale di riferimento. Il licenziamento fatto prima della scadenza di questo termine comporta l’illegittimità del licenziamento e fino a qua la questione risulta essere abbastanza pacifica. Può capitare che il datore di lavoro esegua il licenziamento perché magari viene mal consigliato o perché non ha fatto correttamente il conteggio dei giorni di malattia o per altre questioni Ma, essendo essenzialmente un dato assolutamente matematico è difficile che un datore di lavoro proceda a proporre un licenziamento che è chiaramente immediatamente impugnabile o che comunque sia comporterà una grandissima probabilità, quasi la certezza, l’illegittimità. Comunque, può capitare lo stesso.

Il licenziamento può avvenire quando è stato superato il periodo di comporto. Non sempre una volta che si supera il periodo di comporto il licenziamento è legittimo perché è possibile che questo periodo di comporto sia stato almeno in parte congelato. Ciò avviene nel caso della degenza con le terapie cosiddette salvavita. Una caso classico è quello del malato oncologico che si sottopone a terapie salvavita. Questi periodi vengono scomputati dal periodo di comporto. A questo riguardo, la giurisprudenza, soprattutto nell’ultimo periodo, ha affrontato due principali problematiche. La prima è se il lavoratore debba richiedere una proroga o comunque lo scorporo del periodo in cui ha usufruito delle terapie salvavita dal cosiddetto periodo tutelato del comporto o se invece per questo compito si debba attivare il datore di lavoro. La problematica non è stata ancora superata. Diciamo, però, che in maniera lineare si sta affacciando una giurisprudenza abbastanza rilevante, anche se per ora per la maggior parte di merito, che intravede per il datore di lavoro un obbligo di cooperazione. Questo significa che anche laddove il datore il lavoratore non abbia richiesto una proroga, il datore di lavoro a conoscenza di questa possibilità deve informarlo dell’avvicinarsi della scadenza dei 180 giorni, dandogli anche modo di poter usufruire del superamento nel periodo di comporto quando esistano le condizioni/motivazioni legittime. Perché, ad esempio, il lavoratore si è avvalso di periodi di terapia salvavita.

La differenza è che se l’onere è in capo al lavoratore e il lavoratore non si è attivato in tal senso, il licenziamento, scaduti i 180 giorni, sarà legittimo. Se invece possiamo riscontrare un dovere di cooperazione da parte del datore di lavoro che deve in qualche modo avere una relazione con il lavoratore, anche informandolo dei suoi diritti, a questo punto invece licenziamento diventa illegittimo. Pertanto, si tratta di un dato abbastanza importante anche perché spesso e volentieri c’è un lavoratore che non per sua volontà o sua colpa si ritrova a dover vivere un periodo lungo diciamo di assenza dal lavoro e dover subire anche delle terapie salvavita. Per questo può essere meno attento rispetto a quella che è la disciplina del suo contratto collettivo nazionale. Essendo il datore di lavoro considerato la parte forte del rapporto contrattuale, a lui viene chiesto di fare un passaggio in più verso il lavoratore, affinché sia informato correttamente dei suoi diritti.

Per questo, se dovessi consigliare un datore di lavoro gli direi che prima di procedere ad un licenziamento per il superamento di un periodo di comporto, andrebbe sempre comunque valutata l’opportunità di richiedere se ci sono periodi da scomputare da questo periodo, se ci sono i requisiti per il lavoratore di proseguire con la sua malattia e assenza dal lavoro. Le conseguenze per il datore di lavoro che non aderisce all’orientamento più favorevole nei confronti dei lavoratori e quindi a quello secondo cui si dovrebbe comunque adoperare per un obbligo di cooperazione affinché il lavoratore venga correttamente informato dei propri diritti, possono essere di due tipi. E questa è una nuova frontiera della giurisprudenza. La prima è il licenziamento sia dichiarato illegittimo e che conseguentemente, a seconda delle dimensioni dell’azienda, si rientri nella tutela reale o nella tutela obbligatorio seguendo lo schema dell’articolo 18 per come poi è stato revisionato più e più volte. Il caso della tutela reale si applica nel caso del licenziamento discriminatorio che è quel licenziamento che viene inflitto al lavoratore per motivi di varia natura che non possono essere ricondotte direttamente alla questione della sua produttività, tra le quali possiamo annoverare una discriminazione di tipo razziale, sessuale o politico laddove riguardi eventualmente lavoratori che sono iscritti al sindacato. Le casistiche sono identificate dalla norma e dalla giurisprudenza. L’onere di dimostrare che un licenziamento nasconde un motivo discriminatorio – considerando che nessun datore di lavoro metterà in motivazione che il licenziamento è stato per un motivo discriminatorio – è sta al lavoratore. Mostrare che ci sono stati una serie di segnali che possono dimostrare che il licenziamento non è avvenuto per il motivo che viene esplicitato nella motivazione ufficiale, ma per un motivo che cela una matrice discriminatoria.

La giurisprudenza ha elaborato che laddove il lavoratore riesca a dimostrarlo può essere ritenuto un licenziamento discriminatorio anche quello effettuato a seguito del superamento del periodo di comporto laddove non ci siano gli estremi perché, ad esempio, il lavoratore si è avvalso di terapie salvavita o di altre terapie che in qualche modo, i cui periodi dovevano essere scomputati dai termini dal comporto ordinario. Questo soprattutto nei casi in cui si ravvisa nella malattia del lavoratore una particolare disabilità. È possibile, ma questo non è assolutamente scontato e ogni volta va dimostrato, caso per caso, che il datore di lavoro si sia voluto liberare di un lavoratore che considerava ormai come un peso per la propria azienda, attuando una discriminazione nei confronti di lavoratori appartenenti alla categoria dei disabili. Questo è il motivo per cui una giurisprudenza per ora non maggioritaria, ma che si sta affacciando in maniera sicuramente rilevante, ha provato ad avanzare questo tipo di ipotesi. Rimane il fatto che il lavoratore deve riuscire a portare degli elementi che possano in qualche modo confermare questa tesi.

Quindi il principio è che laddove sia stato superato il periodo di comporto ma c’erano dei termini da computare perché ad esempio ci si è avvalsi di terapia salvavita o il lavoratore lo ha richiesto o il datore di lavoro ha omesso di dare comunicazione di tale facoltà al lavoratore, il licenziamento di per sé può ritenersi illegittimo. Per avere un licenziamento discriminatorio e quindi per avere, a prescindere dal requisito dimensionale dell’azienda, una tutela considerata reale, occorrerà che il lavoratore dimostri che il licenziamento sia stato operato volutamente dal datore in base ad una matrice discriminatoria nei confronti dello stesso lavoratore, in quanto ritenuto invalido e quindi in qualche modo un peso per l’azienda. Questi sono i principi enucleati da una giurisprudenza che nel corso degli ultimi anni si sta affacciando in maniera importante e che quindi sicuramente può offrire a degli spunti e delle considerazioni sul ruolo della discriminazione e su come anche cambia la matrice. Dagli anni 70 in cui il massimo della discriminazione era quella che veniva attuata nei confronti del lavoratore sindacalista piuttosto che del lavoratore straniero, adesso ci si è spostati anche su delle categorie più ampie che possono essere ricomprese tra quelle di cui abbiamo parlato. Ovviamente ricordiamo sempre che ogni singolo caso va valutato in maniera specifica e quindi bisogna rivolgersi sempre a dei professionisti al fine di comprendere bene quale potrebbe essere la propria posizione e quali i rischi e i vantaggi di un contenzioso di questo genere.

AS: Grazie Marco. Si tratta di un tema su cui magari potremo tornare in futuro. Però, credo che quello che hai detto sia per ora piuttosto esaustivo. Grazie.

MC: Sicuramente ci torneremo perché c’è un’evoluzione in corso che dovrà ad un certo punto arrivare ad un approdo, come poi spesso accade.

 

 

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